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Da quando le industrie biotecnologiche hanno ottenuto l’autorizzazione a produrre organismi genetica-mente modificati (OGM) si è posto il problema della sicurezza per l’ambiente e per la salute della diffusione sia di OGM che di loro parti, ad esempio attraverso gli alimenti.

Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente ambientali il problema è stato affrontato nel 1992 a Rio de Janerio, dove venne approvata la Convenzione sulla Biodiversità, che comprende una parte specifica dedicata alla Biosicurezza, riferita alla diffusione in ambiente naturale e agricolo di OGM. La biosicurezza è l’insieme delle precauzioni che devono essere adottate per l’uso, l’imballaggio, il trasporto e la diffusione in genere di organismi geneticamente modificati.
Il concetto di biosicurezza deve essere collegato ad un principio, anch’esso contenuto nella Convenzione sulla Biodiversità e fatto proprio dall’Unione Europea nel 1994, che è il principio di precauzione. In base a tale principio per autorizzare l’immissione nell’ambiente e/o al commercio di OGM non basta, come si è fatto finora per gran parte delle sostanze chimiche usate nell’industria o in agricoltura, considerarlo innocuo fino a quando non sono accertati dei danni all’ambiente o alla salute, occorre invece valutare tutti i possibili rischi.
In pratica è opportuno astenersi dal fare qualcosa fino a quando non siamo sicuri che gli effetti sono o nulli o trascurabili o minimizzabili con opportune tecniche disponibili, mentre in passato un prodotto veniva prima immesso nel commercio ed eventualmente ritirato, quando si erano contati i disastri ambientali, i malati ed i morti.
Nell’ambito della Convenzione sulla Diversità Biologica è stato negoziato un Protocollo di Biosicurezza. Il Protocollo dovrebbe fornire una minima struttura legale soprattutto per la gestione del trasferimento oltre confine degli OGM per i quali al momento non esistono regole internazionali.
La posizione su tale protocollo può essere descritta approssimativamente per tre gruppi di paesi. Il primo gruppo è costituito, tra gli altri, dagli Usa, Canada, Argentina e Australia che vedono il protocollo come un limite per le potenzialità industriali. Il secondo gruppo di paesi, in gran parte paesi in via di sviluppo, vogliono che esso includa severi requisiti per il trasferimento oltre confine degli OGM.
Tali requisiti devono includere considerazioni socio-economiche e riferimenti al principio di precauzione negli articoli operativi del protocollo. Essi desiderano inoltre che nella potenzialità del protocollo vengano presi in considerazione anche i prodotti non viventi, derivati dagli OGM. Gli Stati Membri dell’UE formano il terzo gruppo che, ricoprendo una posizione intermedia tra i due precedenti, cercano di assicurare che ci siano degli obblighi da parte dei paesi esportatori in caso di trasferimento oltre confine di OGM. Quanto meno il paese importatore dovrebbe essere informato in anticipo sul trasferimento, che non dovrebbe avvenire senza il suo parere favorevole. Lo strumento per facilitare questi passaggi è la “Advance Informed Agreement Procedure (AIA)”, (Procedura di Accordo Comunicato in Anticipo) per il trasferimento oltre confine di OGM. La posizione dei tre gruppi riflette la condizione di paesi che attualmente sono o solo esportatori, o solamente importatori senza alcun settore biotecnologico, o paesi potenzialmente esportatori nel futuro.
Gli USA chiedono che faccia parte del Protocollo una “clausola di salvataggio”, secondo la quale il Protocollo di Biosicurezza, nel caso dovessero emergere dei conflitti commerciali, verrebbe subordinato alle regole del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio). L’UE si è opposta a tale clausola ed insiste affinché gli Accordi Ambientali Multilaterali siano complementari al WTO e di mutuo supporto.
Il motivo del contrasto sulla subordinazione dell’accordo alle regole del WTO deriva dal fatto che gli USA non hanno mai sottoscritto la Convenzione sulla Biodiversità e quindi non accettano il principio di precauzione, al quale sono tenacemente contrari. Inoltre anche il WTO non riconosce tale principio, ma solo la logica per cui non possono essere posti ostacoli neppure di natura ambientale e sanitaria, alla libera circolazione delle merci. Questo è il motivo per il quale l’UE è stata condannata dal WTO quando gli USA hanno fatto ricorso contro il divieto di importazione nell’UE di carne statunitense, ottenuta con l’uso di ormoni, vietati in Europa. A causa di queste divergenze, nel febbraio del 1999 a Cartagena, in Colombia, la Conferenza delle Parti non è riuscita ad approvare il Protocollo sulla Biosicurezza, viste le posizioni nettamente contrastanti tra USA ed UE. Solo più recentemente a Montreal, in Canada, si è raggiunto un parziale accordo di compromesso in base al quale gli USA accettano che altri utilizzino il principio di precauzione senza però farlo proprio. Ma già al momento di applicare questo compromesso sono sorti nuovi contrasti: l’Europa chiede di tenere separati, certificandoli, i prodotti transgenici da quelli naturali, per garantire una corretta etichettatura, ma gli USA, per il momento, si oppongono.
Causa questo contrasto, ancora una volta a pagare le conseguenze saranno l’ambiente e la sicurezza alimentare dei cittadini, poiché si estenderà il rischio di inquinamento genetico e i prodotti saranno difficilmente etichettati, nonostante il Regolamento europeo n. 49 del 2000, che prevede dal 10 aprile prossimo l’obbligo di etichettatura, anche se con un margine di tolleranza di contaminazione dell’1%.

Tratto da

Organismi modificati geneticamente e biosicurezza

di Gianni Tamino – Biologo dell’Università di Padova – Coordinamento del gruppo Biodiversità del ministero per le Politiche agricole.